SAN VALENTINO, FESTA PAGANA!

Ma quale ricorrenza dell’amore romantico!? San Valentino, in origine, era una festa pagana consacrata alla sessualità, poi assorbita dal culto cristiano e trasfigurata, dalla chiesa cattolica, per adattarsi ai precetti della dottrina.

Nell’antica Roma, a febbraio, si svolgevano i Lupercalia (o Lupercali). Queste feste, di radice arcaica, erano legate al ciclo di morte e rinascita della natura, alla sovversione delle regole e alla distruzione dell’ordine per permettere al mondo e alla società di purificarsi e rinascere.

Queste feste erano accompagnate da vari rituali: mascherate, cortei, orge e giornate in cui i servi prendevano il posto dei padroni e viceversa. Parte di queste manifestazioni ritualistiche è sopravvissuta fino a oggi, mediata dalla morale cristiana, nelle tradizioni del Carnevale.

Alcune pratiche arcaiche della fertilità prevedevano che le donne di Roma si sottoponessero, in mezzo alle strade, ai colpi vibrati da gruppi di giovani uomini nudi, armati di fascine di rami strette da spaghi e indossanti pelli per impersonare il dio agreste Fauno-Luperco.

I colpi di verga non erano frustrate, bensì colpetti che avevano lo scopo simbolico di benedire le donne e di propiziarne la fertilità. La verga – o fascina – è un simbolo ricorrente nei rituali pagani che può essere accomunato con la scopa della strega.

Un rituale pagano di fertilità legato al mondo dell’agricoltura prevede che una donna passi la scopa di saggina – o verga, o fascina – sui campi dopo l’aratura e prima della semina. Altre fonti parlano del rituale come un rituale primaverile, da esercitarsi ancora prima dell’aratura.

L’inverno, con la sua austerità, volge al termine e il popolo, tramite i rituali, si propizia la rinascita della natura, con la primavera che è associata al riaccendersi della potenza sessuale che avrà suo massimo climax durante la piena estate, in cui tutto matura e cresce.

Si narra che un rituale prevedesse che i partecipanti mettessero i loro nomi dentro un otre di coccio da cui poi, un infante, avrebbe estratto le coppie che per un anno avrebbero dovuto convivere fino a far sbocciare l’amore derivante dalla procreazione. 

La leggenda non narra se i nomi di donne e di uomini fossero divisi in due otri, anzi pare proprio che l’otre fosse unico e che il caso, per mano di un bambino innocente e puro, decidesse i giusti accoppiamenti che andavano rispettati per onorare il rituale. 

Sotto questo punto di vista, la procreazione assume un significato di livello superiore: la coppia, comunque fosse composta, aveva il compito di convivere la vita per un anno intero e di onorare la sessualità che genera la procreazione, ovvero la creazione. 

Mi vien da dire in fondo, che anche tutti i rituali di San Valentino odierni – in zona rossa, gialla, verde o blu – benché ammantati di romanticismo, nascondano in fondo lo stesso intimo arcaico significato: dare sfogo alla potenza sessuale e alla vitalità.

D’altronde, chi comprerebbe razionalmente ventiquattro rose rosse solo per romanticismo? Va da se che chi lo fa, teme che il non farlo sia di mal auspicio per il prossimo anno di accoppiamento. Quindi, nonostante i ristoranti aperti solo di mezzogiorno e fiorai in home delivery… Mascheriamoci e diamo il via ai Lupanali!

Testo a cura di Luisa Querci della Rovere