La profezia di Zarathustra colpisce al cuore il nostro presente.
Mai come in questo periodo mi sembra opportuno ricordare le parole di Nietzsche. Come lui stesso ci indica entriamo in contatto con il nostro SE’ e affrontiamo questa pandemia: LA PAURA
“Dunque parlerò loro di quanto v’è di più spregevole: e questo è l’ultimo uomo”.
Nella prefazione del “Così parlò Zarathustra“, dopo aver annunciato l’avvento dell’ “oltreuomo”, Nietzsche ne disegna il contrario. Angosciato, dipinge non l’uomo destinato a superare se stesso, destinato a diventare una stella che danza, ma si concentra invece sulla generazione “dell’ultimo uomo”.
“L’ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità, sicurezza e tolleranza reciproca”.
“La terra è diventata piccola e su di lei saltella l’ultimo uomo che rende tutto piccolo. La sua razza è inestinguibile come quella della pulce di terra.”
Rinchiusi nelle gabbie dorate del nostro io, ci rifiutiamo di dare ascolto al nostro Sé di cui Nietzsche è innamorato, ovvero la nostra dimensione più profonda; una dimensione dove non esiste la prigionia di un egoismo malato, ma solo una stella danzante.
L’uomo è un ponte all’ “oltreuomo”, che va superato. Siamo chiamati a sconfiggere il creatore di idoli che continua ad incatenarci: Il nostro io. È nostro compito smascherarci, scoprire gli inganni che tendiamo a noi stessi, solo così saremo liberi.
Ammalarsi è Il Male incarnato nelle nostre menti, la salute è un idolo gigantesco sotto l’ombra del quale raggeliamo, dando le spalle alla luce di una reale serenità, che non si lascerebbe intimorire da un fiato spezzato o da un paio di gambe immobilizzate, nemmeno da un tumore o da un figlio Down.
Il diffidare è il secondo male della nostra mente. “Una la cultura, Una la legge, Uno il pensiero, Nessun padrone e Molte pecore”. Per questo procediamo circospetti, intenti a scovare coloro che noi decidiamo essere nostri avversari, che hanno un’idea diversa: “è impossibile avere un’idea diversa, non è sano”.
“Un po’ di veleno di tanto in tanto procura sogni piacevoli. E molto veleno alla fine, per una morte piacevole”. Congelati in queste parole troviamo i nostri più macabri terrori: la paura della sofferenza, della morte e quella di rimanere svegli la notte, dinnanzi al nulla che stiamo diventando.
La paura è forse l’idolo più potente, il terrore spegne l’ultimo baluardo di coraggio nel nostro animo, perciò prostituiamo il nostro corpo per una piacevole indifferenza, per un desideratissimo anestetizzante che copra con un velo sempre più sottile, senza mai scacciarli, i nostri demoni.
La vera condanna è alla paura, alla forza degli idoli contro i quali l’umanità oppone sempre meno resistenza.
Stiamo voltando le spalle all’uomo libero amato da Nietzsche.
Questa è la profezia di Zarathustra, questo è il nostro presente. Rimane un’ultima domanda che sentiamo necessario porci: perché Nietzsche ci chiama “gli ultimi”?