Dalla separazione all’armonia, grazie ad una gestione costruttiva del conflitto.
Fin dai primi anni in cui ho svolto il lavoro di avvocato, ho naturalmente avuto la tendenza a mediare la contrapposizione tra le parti, specie nell’ambito del diritto di famiglia, verificando in primis la possibilità di far incontrare i bisogni e le richieste dei confliggenti, per evitare il lungo e doloroso percorso giudiziale.
Spesso avvertivo però che la strada del contraddittorio davanti alla corte veniva vista come l’unica strada.
Questa, purtroppo, è una visione diffusa ancora oggi: gli strumenti di Risoluzione Alternativa delle Controversie (ADR), quali ad esempio la mediazione, sono ancora poco conosciuti e direi apprezzati per il loro vero valore di composizione costruttiva del conflitto.
La figura del mediatore è stata introdotta in Italia con il D.lgs. n. 28/2010, che ha delineato un professionista formato per aiutare i soggetti che hanno un problema fra loro a trovare una soluzione, che sia per entrambi soddisfacente e reciprocamente vantaggiosa, e che possa sanare in modo pacifico il loro contrasto.
Il compito del mediatore è di facilitare la comunicazione, il dialogo tra i confliggenti, cercando di far emergere prospettive nuove per le parti, ponendo l’attenzione più che sulle questioni di diritto, sugli interessi e sui bisogni delle persone.
Non è né un giudice né un arbitro: non ha il compito di stabilire chi ha torto e chi ha ragione e, tantomeno, di punire l’uno e premiare l’altro; in mediazione le parti sono protagoniste, sono le parti che decidono la soluzione del loro problema.
Quando ci si trova in un conflitto si creano dinamiche di contrapposizione che generano separazione, divisione tra le parti ma vedremo perché e come è possibile arrivare alla composizione di un conflitto e all’integrazione delle stesse e quindi all’armonia.
Che cosa succede in un conflitto?
Solitamente in un conflitto ciascun litigante assume di avere ragione e ritiene di conseguenza che sia sempre e solo l’altro ad avere torto; che l’altro sia il problema e che le sue azioni sono reazioni al comportamento dell’altro. Se proviamo a metterci nei panni del nostro confliggente capiremo però che anch’egli sarà convinto che siamo noi
ad avere torto, che siamo noi il problema e che lui semplicemente reagisce al nostro comportamento.
Entrambi i litiganti hanno dunque delle precise opposte convinzioni: ecco che nasce la contrapposizione, che separa i due confliggenti.
Generalmente di fronte ad un conflitto cerchiamo di determinare le cause per attribuire responsabilità.
Questo approccio alla realtà si fonda sua una premessa implicita molto potente: il codice binario fondato sull’aut-aut che ci porta a vedere il mondo diviso in classi di opposti contrapposti: giusto o sbagliato, vero o falso, torto o ragione e ci porta automaticamente a ragionare in termini dualistici.
Siamo abituati a pensare che se uno dei contendenti ha ragione, l’altro deve necessariamente avere torto.
E che una terza via è esclusa: così si struttura la dinamica del conflitto, che diventa uno scontro di posizioni.
Il pensiero occidentale, la nostra cultura, infatti si sviluppa sulla logica aristotelica, per cui “è impossibile che una stessa cosa sia e non sia allo stesso tempo”, ”ciò che è, è e non può non essere”, per cui un’affermazione o è vera o è falsa, tertium non datur.
E quindi non riusciamo a concepire una realtà differente da quella della divisione e della separazione.
Il codice binario è il filtro attraverso il quale processiamo il mondo e ci fa credere che noi abbiamo ragione e l’altro ha torto, ci fa dunque scontrare con l’altro, e ci mette in contrapposizione.
Dobbiamo dunque sapere che la visione dualistica è separativa e nutre la contrapposizione.
L’origine di tutti i conflitti sembra risiedere proprio nella percezione di essere individui separati.
L’errore più grande dei confliggenti risiede nel percepirsi come elementi separati dalla situazione e non riconoscersi come parte di un unico sistema all’interno del quale entrambe le parti interagiscono e sono co-creatori del conflitto.
E’ possibile uscire da mondo degli aut – aut, della dualità, dominato dalla separazione?
Tutta la gestione costruttiva di un conflitto si basa proprio sulla capacità di trovare alternative al mondo dualistico degli aut-aut, uscire dalla logica di escludere, degli autaut, per arrivare ad una visione inclusiva, dell’et et.
Le parti in mediazione sono considerate elementi di un unico sistema di interazione nell’ambito del quale ognuno è legato inscindibilmente agli altri. Ne segue che ogni azione implica una modifica del sistema, (in quanto comporta sia conseguenze dirette sul soggetto cui è diretta sia conseguenze indirette e di ritorno sul soggetto emittente; il sistema è dunque circolare). L’individuo non è separato dal tutto, è un’unica manifestazione del tutto, il suo conflitto nasce proprio dal sentirsi separato dal tutto.
Per comprendere cosa sia la mediazione bisogna sviluppare una diversa visione del conflitto e superare la dicotomia torto/ragione, vincente/perdente, ossia la concezione della realtà basata sulla logica aristotelica che divide il mondo in opposti contrapposti, per arrivare alla comprensione che il mondo è polare e un polo non può esistere senza l’altro, gli opposti coesistono in un sistema circolare dove tutto è legato e si influenza
reciprocamente.
Per la visione occidentale il principio della polarità, il fatto che esista luce e buio, suono e silenzio, buono e cattivo, torto e ragione porta all’idea della contrapposizione, che genera conflitto.
Per le grandi filosofie antiche e orientali (induismo, taoismo e buddismo), invece, la separazione è solo un illusione. Gli opposti non devono competere, sopraffarsi l’un l’altro o entrare in conflitto, dal momento che, ciascun aspetto contiene, completa e dà equilibrio all’altro; gli elementi opposti quindi non si elidono, non si escludono ma si
aggiungono e coesistono, si integrano, si completano, si equilibrano tra loro.
L’equilibrio, inteso come armonia, è una interazione dinamica tra due estremi.
Quindi tutti gli opposti, vero/falso, torto/ragione, giusto/sbagliato, luce/buio, causa/effetto non sono altro che poli o aspetti della stessa cosa; yin e yang non sono altro che inseparabili facce della stessa medaglia; maschile e femminile sono l’espressione dell’intero regno della natura: non esiste la possibilità che uno abbia la
meglio sull’altro.
Il mediatore ha il compito di recuperare ciò che unisce le due parti (i due opposti litiganti) ed integrarli, sapendo che i contrari sono complementari e che uno esiste attraverso l’altro.
Con una gestione costruttiva del conflitto, i due confliggenti sono messi nella condizione di trovare il loro equilibrio.
Con la mediazione si dimostra quindi che il tertium è datur.
Bisogna dunque partire da un nuovo paradigma ossia la consapevolezza di essere parte del tutto, nutrire un atteggiamento unificante che porta ad una tendenza integrativa e lasciare andare l’atteggiamento separativo e dualistico che conduce a contrapposizione e all’aumento di conflitti.
E’ importante ricordare che l’equilibrio inteso come armonia, non è mai statico ma consiste in un’interazione dinamica tra due tendenze complementari.