Self-licensing
Il self-licensing è il termine anglosassone utilizzato per indicare un fenomeno psicologico molto comune, ovvero la capacità di darsi autonomamente l’autorizzazione a fare qualcosa che normalmente moralmente ci sarebbe “proibito” o ritenete sia “proibito”.
Avete mai sperimentato quella sensazione in cui, siccome siete stati dei bravi bambini e avete lavorato sodo in palestra, vi sentite di potervi concedervi quella gran fetta di torta al cioccolato che normalmente sapete non farvi bene? Ecco, quello è self-licensing.
Molti piani di allenamento duro con un regime alimentare restrittivo prevedono un pasto libero settimanale in self-licensing in cui l’atleta da libero sfogo alle proprie pulsioni. In tali casi si assiste spesso a veri e propri eccessi alimentari auto giustificati.
Dato questo preambolo, entriamo più nel dettaglio del fenomeno che in questi tempi molto connotati da notevoli restrizioni assume nuovi connotati e notevoli spunti di riflessione sociale circa i comportamenti attuati dalle persone più comuni.
Sono proprio le persone più “moralmente corrette”, almeno a livello di immagine pubblica e comportamenti sociali, ad attuare più frequentemente il self-licensing. Comportandoci “bene”, secondo le regole, acquisiamo credenziali morali spendibili.
La storia in sintesi è: “siccome mi comporto sempre bene, sono una persona moralmente ineccepibile, allora sono nel giusto e mi permetto di fare anche … “ qualcosa di totalmente immorale. Questo avviene nella società, quanto in famiglia o nei rapporti di coppia.
Qualcuno sostiene che le molte repressioni delle pulsioni per aderire ad una morale superiore debbano poi trovare comunque sfogo in una via immorale (atteggiamento subcosciente), mentre altri ritengono che tale fenomeno avvenga razionalmente.
Confermo assolutamente che possa avvenire sia a livello subcosciente che cosciente. A livello cosciente c’è chi recita la parte del moralista per acquisire credito e seguito, per poi consentirsi decisioni e giustificare azioni per niente morali o etiche.
Self-licensing ai tempi del coronavirus
Cerchiamo di calare l’argomento in una situazione attuale che noi tutti stiamo vivendo. I virtuosi esistono e sono coloro che rispettano le regole di prevenzione oltre ogni misura vara dal governo: vanno oltre e ne vanno fieri, sono gli ultra moralisti.
Queste persone, Dio le benedica, lavano le scarpe, mettono la spesa in quarantena, non escono per una passeggiata nemmeno se autorizzati, hanno mascherine sperimentate in Cambogia che indossano H24 e non escono di casa se non obbligate dalla legge.
Questi sono i moralisti che si attengono alle regole più ferree per difendere il mondo, ma soprattutto se stessi, da una calamità. Rispettavano le regole prima di questo periodo e le rispettano ancora di più in questo. Loro sono i “santi”, i “giusti” che si sacrificano.
Tale “sacrificio” del giusto va compensato, perché non è giusto che un sacrificio non sia compensato, quindi parte il self-licensing, che può semplicemente constare in abbuffate di cibarie ipercaloriche e consolatorie, ma può anche sconfinare in comportamenti antisociali.