Conoscere il senso del conflitto – fragilità maschile e femminile.

Mi sono chiesta quale potesse essere il mio contributo in questo contesto dove si parla di maschile e femminile, di dualità, di separazione e di armonia delle due diverse energie, tenuto conto che nella mia professione mi occupo essenzialmente del conflitto.

Il conflitto non necessariamente è da considerarsi “negativo” in quanto puo’ essere esso stesso fonte di crescita e di miglioramento dei soggetti protagonisti, l’assenza totale di conflitto si traduce spesso in appiattimento.
Il confronto tra maschile e femminile, quando è armonico, è fonte di grande ricchezza. Il quadro si complica quando la relazione dei due generi (maschile e femminile) è attraversata da un’elevata conflittualità che si esplica in rivendicazioni ed aggressioni spesso non solo verbali, provocando frattura, disarmonia e violenza.

Ed ecco che il “campo” in cui i due generi scendono in “guerra” confrontando le proprie istanze ed i propri interessi è il “teatro” del Tribunale, dove le due energie esprimono la propria furia senza esclusione di colpi.

Ma nel “teatro” del Tribunale giocano i soggetti regolatori della giustizia: magistrati, avvocati, psicologi (nella figura di consulenti del Tribunale), assistenti sociali, educatori, ognuno con la propria energia maschile e femminile, ognuno con la propria armonia o disarmonia.

La separazione e i danni della disarmonia
Il confronto quotidiano tra energia maschile e femminile si svolge nell’ambito della coppia, è la coppia che conserva l’armonia, è dalla coppia che nasce il conflitto. Il conflitto all’interno della coppia è divenuto nel corso degli anni esso stesso uno “stereotipo”.

Sempre più frequenti sono le separazioni ed i divorzi, sempre meno sono i matrimoni, sempre meno nascono figli, sempre più spesso le persone scelgono di vivere fuori dalla coppia (ci sono sempre più single) quindi fuori dal “confronto” costruttivo tra la propria energia con quella dell’altro. Le persone fuggono dalla routine che ormai non tollerano più.

La cultura dell’usa-e-getta rende più faticoso il riconoscere la bellezza in situazioni durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso, procedendo sempre più verso la mercificazione dei sentimenti (si veda l’intervento di Raniero Clerici nel medesimo evento).

In tutto questo non bisogna dimenticare che è dalla coppia che nasce la vita che porta con sé ancora il femminile ed il maschile dentro l’individuo che poi cresce e va a confrontarsi ancora nella coppia portando con sè valori ed esperienze acquisite dalla coppia genitoriale e così via.

E’ dall’esperienza dei genitori (esempi dell’espressione delle due energie di genere) che a loro volta i figli acquisiscono l’armonia o la disarmonia, è attraverso l’esperienza dei genitori che realizzano il proprio processo di sviluppo e di crescita fino alla differenziazione.

È il ciclo della vita.

La prima società che il bambino conosce è la famiglia dentro la quale si riversano le istintualità al di fuori di una regola sociale (si possono fare riferimenti a Jean-Jacques Rousseau).

L’esperienza di conflitti
Tra i primi casi che ho affrontato negli anni 1993/1998 mi sono confrontata con donne frustrate sotto il profilo fisico ma soprattutto psicologico, mamme proiettate nell’esclusivo valore della protezione della prole dove tutto veniva sacrificato sia nell’ambito del lavoro-professione che nell’ambito della propria figura di donna davanti ad un uomo dedito unicamente al proprio lavoro ai propri interessi e spesso “esterno” all’educazione ed agli interessi dei figli.

Un caso “tipizzante” è stato quello di una donna che dopo la condanna del marito per gravi maltrattamenti sulla moglie e abusi sessuali sulla figlia – dai 3 agli 11 anni – ancora portava la biancheria e pasti caldi al marito in carcere, allora non c’erano le strutture di oggi non c’erano sportelli “rosa” di ascolto per le donne, non c’era la collaborazione degli assistenti sociali ed è stato un lungo lavoro quello di indicarle la strada per uscire da quella situazione.
 
Negli anni i miei fascicoli si sono moltiplicati, ma sulla maggior parte veniva scritto “separazione consensuale” con affido a tutti gli effetti condiviso seppure non ancora Legge (la legge è intervenuta successivamente L. 54/2006) quindi vero frutto di un accordo che esula dall’imposizione legislativa,  in molti casi gli ex divenivano addirittura amici e la mia esperienza mi ha portato nel 2003 a scrivere un trattato sulla famiglia “neotribale” considerata come “famiglia allargata” dove i figli di uno si riunivano con i figli dell’altra in una fratellanza elettiva (pubblicazione di Cendon – Utet).

Sembrava non emergere alcun dato allarmante, non risultavano ancora pubbliche situazioni di grave conflittualità.

Invece, i lavori della 2^ Commissione Permanente del Senato del 26 luglio 2011 a seguito di un’indagine conoscitiva relativa all’applicazione della legge sull’affido condiviso (legge n. 54/2006) fanno emergere una situazione allarmante (riportata nell’allegato A di detti lavori): in media nelle denunce di maltrattamenti in famiglia solo 2 casi su 10 sono veritieri nella media l’80% sono denunce elaborate ad “hoc”: il fenomeno della strumentalizzazione della legge ha il sopravvento.

Appare doveroso riportare le considerazioni seguite a questa indagine:
“Gli studi sulle problematiche della separazione denunciano, da circa 16 anni, un uso strumentale della carta bollata: l’utilizzo della denuncia per violenza di varia natura, pianificata per raggiungere obiettivi diversi da quelli dichiarati.
Può essere un’arma di ricatto per ottenere vantaggi economici, uno strumento per allontanare il “nemico” dai figli con accuse costruite ad arte, una rivalsa per il piacere di vedere l’ex in rovina.
Quale che sia lo scopo occulto, è ben lontano dall’essere una reale tutela per l’incolumità di chi denuncia.
Anche se non esiste una concreta situazione di rischio, è utile costruirla: garantisce risultati certi, da 30 anni, invariabilmente.
Gli approfondimenti sulle false accuse in ambito separativo dicono che il soggetto abusante, nella maggior parte dei casi, non esiste affatto.
Oggi, dopo lunghi anni di silenzio, il fenomeno ha ormai raggiunto proporzioni talmente macroscopiche da non essere più sottovalutabili; sul riconoscimento dell’emergenza convergono operatori di diverse aree coinvolte: Polizia, Magistratura, Avvocatura, Neuropsichiatria, Psicologia, Criminologia.
Una doverosa precisazione: nessuno ha intenzione di sottovalutare la gravità delle ignobili violenze fisiche e sessuali delle quali sono vittime le donne.
Quando sono vere.
Chi invece le inventa e le utilizza in tribunale per scopi diversi da quelli dichiarati, non nuoce solo ai figli e all’ex coniuge: la falsa denuncia insulta in primis chi una violenza l’ha subita davvero.
Mille vittime di stupri e/o percosse non possono essere messe sullo stesso piano della persona che si morde le labbra e corre in ospedale a denunciare l’ignaro ed incolpevole ex partner.
Magari con l’avallo di avvocati e servizi sociali conniventi, che hanno costruito un muro di indifferenza sul dramma sociale delle false accuse.

Il muro di indifferenza si sta incrinando, per rispetto delle vittime innocenti – adulti e minori coinvolti senza motivo – ma anche delle donne che una violenza l’hanno subita davvero”. 

Seguono le testimonianze di Pubblici Ministeri, Agenti di Polizia Giudiziaria, Criminologi, Avvocati e Psicologi(all. A2^ Commissione Permanente del Senato del 26 luglio 2011).

Cambiano gli strumenti di battaglia e cambia il modo di scendere in campo del “maschile” e del “femminile”. Maschile che si rende conto che ha una parte femminile in sé, che non ha più paura di prendersi cura dei figli e che arriva a desiderarlo. Femminile che affrancata dalla situazione di sudditanza, aiutata dalle istituzioni a fuggire dalla dipendenza, dalla donna fragile, dalla donna che non sa difendersi dalla violenza  e rafforza il suo maschile con il lavoro e l’affermazione economica.
 
Da qui i due generi iniziano a confrontarsi su un piano finalmente paritario, ma purtroppo sempre più conflittuale.

Ma lo stereotipo della donna fragile abusata e schiavizzata si è ormai consolidato ed è entrato nelle cellule del giudicante – nei tribunali si tende ancora ad impoverire il maschio considerando sempre la donna più fragile: nessuno riconosce che la fragilità può essere anche maschile.

Le istituzioni tuttavia non sono state pronte ad assorbire i cambiamenti.
False denunce con eventi spesso affiorati solo al momento della separazione: il fenomeno della strumentalizzazione della legge ha il sopravvento.
Caso che chiamo con nome di fantasia “Roberto” per il quale ho scritto un post sulla pagina Facebook di MagiaDonna: è una guerra per il figlio, dove il maschio forte nel suo maschile (uomo di successo sul lavoro) entra in crisi ed inizia a rafforzare il suo femminile quando si vede sottratto Marco (il figlio) in virtù di una falsa denuncia.
I fatti gli stanno dando ragione, ma la ragione poco può fare di fronte all’impossibilità di vedere il figlio avallata comunque dall’Autorità Giudiziaria che necessita di tempi lunghi per la verifica degli eventi.

I nuovi Tabu’
Non ci sono spazi per uomini maltrattati e spesso questi vivono nell’omertà senza supporto sociale e si vergognano di parlare della loro situazione anche solo con l’amico intimo; le donne, sotto quest’aspetto trovano conforto e credibilità sia dalle istituzioni che dal substrato affettivo di famiglia d’origine ed amicizie. Sono sempre capite ed aiutate.

La giustizia è velocissima sulle denunce di maltrattamenti annunciate dalle donne, ma non altrettanto sulle denunce del “maschio” anzi: le indagini si rendono sempre più lunghe l’uomo deve comunque sempre aver commesso qualche malefatta da qualche parte. I mass media divulgano “a nastro” violenze femminicidi, ma nessuno parla di maschicidi (parola che non viene riconosciuta neppure dal programma di word). Rimangono prive di risonanza notizie come quelle di suicidi di uomini a cui è stata sottratta la prole, maschi depressi, disoccupati, affranti. Si tratta spesso di uomini che hanno un buon livello di istruzione – generalmente diploma o laurea – un’età fra i 30 e i 50 anni e che spesso non parlano del loro incubo nemmeno con gli amici, per un senso di vergogna che li fa tacere fino a quando non arrivano all’esasperazione più totale.

Si sono travalicati i confini del conflitto e della separazione annientando la dualità e l’armonia delle due energie.

I primi rimedi
Il Centro Ankyra di Milano è uno dei pochi che si è cimentato nell’intento di aprire degli sportelli di ascolto sia per uomini che per donne, affermando “Non vogliamo iniziare una guerra tra chi difende le donne e chi gli uomini – spiegano i volontari delle associazioni – ma è giusto riconoscere pari diritti a entrambe le categorie, a prescindere dal sesso. Si tratta in ogni caso di vittime”.

A Roma è appena stata fondata l’associazione L’Altra Parte: uno staff di avvocati dà consulenza per vedere, caso per caso, se ci sono gli estremi per una denuncia per violenza domestica o no. “E poi vogliamo iniziare un’opera di sensibilizzazione nei confronti della magistratura – spiega la presidente Magdalena Giannavola, avvocato penalista – Spesso ci siamo trovati di fronte a un muro quando in ballo c’erano denunce contro gli uomini. C’è ancora molto sessismo a senso unico dietro alle sentenze. L’uomo vittima non è tutelato quanto la donna”.

L’arma del “ti tolgo i figli e non li vedrai mai più” resta in ricatto più grosso. Ma non si pensi che il sesso debole non sia capace di mettere in atto abusi sessuali o maltrattamenti fisici: ai centri di accoglienza per uomini maltrattati si sono presentate vittime con il lobo dell’orecchio tagliato, con segni permanenti di morsicate dopo scenate di gelosia, oppure presi a calci e minacciati con i coltelli della cucina. Molte le storie di stalkeraggio, i pedinamenti, il furto delle password dei social da parte delle mogli per la pubblicazione di contenuti diffamanti o semplicemente per spiare le loro chat private.

La comunicazione
È l’ascolto, la raccolta di documenti e di informazioni, è la comunicazione e la ricerca per raggiungere una visione globale degli eventi, non la lettura degli stessi unicamente attraverso il filtro della comunicazione di massa, che ci possono indurre a capire e comprendere l’effettiva situazione allarmante di che cosa vuol dire l’aver travalicato ogni limite del conflitto.
La violenza che derivi dal femminile o dal maschile, non può essere manifestazione dell’amore.

Il percorso alla scoperta della propria forza, ma anche delle proprie fragilità che sono anche maschili, non solo femminili, è il viaggio nell’anima che in quest’epoca della cultura dell’usa-e-getta facciamo con molta difficoltà.